Licciana Nardi

n.1

LA RESISTENZA NELLA VAL DI TAVERONE

LA RESISTENZA NELLA VAL DI TAVERONE

La Resistenza a Licciana Nardi, fino all’ultima grande battaglia

La Resistenza a Licciana Nardi, fino all’ultima grande battaglia

Il territorio di Licciana Nardi e la Val di Taverone dopo l’8 settembre 1943 diventano uno snodo fondamentale per le attività della lotta di Liberazione, nonché teatro di sanguinosi avvenimenti che colpiscono i partigiani e la popolazione civile.

Il territorio di Licciana Nardi e la Val di Taverone dopo l’8 settembre 1943 diventano uno snodo fondamentale per le attività della lotta di Liberazione, nonché teatro di sanguinosi avvenimenti che colpiscono i partigiani e la popolazione civile.

Nell’area compresa tra i comuni di Licciana Nardi, Bagnone e Villafranca è attiva la Brigata Garibaldi “37B”, nata da un nucleo originario composto da alcuni antifascisti e perseguitati politici durante il ventennio, tra i quali Edoardo Bassignani «Ebio» di Merizzo e alcuni sarzanesi, come l’ex ufficiale Piero Galantini «Federico», poi comandante della Brigata Garibaldi “Ugo Muccini” ed Ernesto Parducci «Giovanni», che diventa il comandante della prima banda partigiana sul Monte Barca, annientata nel marzo 1944 da una rappresaglia della X Mas. Ripresasi da questo duro colpo, la “37B” inizia a ingrossare le fila dal maggio 1944, con l’arrivo di molti giovani lunigianesi, renitenti e disertori che scelgono la via dei monti anche per non essere reclutati nella RSI.

Ai primi di luglio 1944, la “37B” viene fortemente ridimensionata dal grande rastrellamento, denominato operazione Wallenstein I, I partigiani sono costretti allo sganciamento e hanno diverse perdite, soprattutto nel bagnonese. Numerosi anche i civili trucidati o deportati in Germania, molti di questi vengono catturati a Taponecco.
Nell’autunno successivo la “37B” prenderà il nome di Brigata Garibaldi “Leone Borrini” e si organizzerà in vari distaccamenti, alcuni dei quali dislocati nei borghi montani di Licciana: Tavernelle, Apella, Prada del Ferro, Ripola, Monterossino. Località che vengono scelte perché ritenute più sicure, sia per la lontananza dai presidi nazi-fascisti del capoluogo, di Terrarossa e dei comuni vicini (Bagnone e Villafranca), sia per la generosa solidarietà e l’atteggiamento di protezione che la popolazione montana dimostra nei confronti del movimento. I partigiani della Borrini tra la fine del 1944 e il gennaio 1945 sono particolarmente attivi nell’ostacolare l’operato dei reparti nazi-fascisti e a rendere difficile la viabilità che porta al passo della Cisa. Tra il 20 e il 28 gennaio 1945 il territorio della IV Zona Operativa viene investito da un enorme rastrellamento, in cui vengono dispiegati circa 25.000 nazifascisti contro i 2500 partigiani presenti nell’area. La conseguenza inevitabile è lo sganciamento dei gruppi partigiani per cercare di raggiungere zone più sicure. Tale rastrellamento coincide – e anzi ne è una conseguenza – con la visita in Lunigiana di Benito Mussolini, che viene per passare in rassegna le truppe della Repubblica Sociale Italiana in partenza per andare a combattere in Garfagnana. Il 26 gennaio i bersaglieri della Divisione Italia catturano, in località Villa di Panicale, il partigiano Vegliante Torri «Ivan», comandante del Distaccamento “Giannotti”, con sede ad Apella. Dopo aver cercato invano di farlo parlare, viene ucciso con un colpo di baionetta alla gola.

In questo territorio è presente anche la IV Brigata Apuana “Gino Menconi” bis, che ha collocato le sue basi principali nel comanese, ma ha un importante presidio nel paese di Bastia, scelto per la sua posizione strategica sulla Val di Taverone: non a caso il paese subisce diversi cannoneggiamenti dalla pianura. Una lapide, apposta nel borgo, ricorda la morte di tre partigiani, tutti appartenenti alla IV Apuana: Annibale Rossetti «Fausto», Giulio Mazzini, Gino Bellazzini. Sempre a Bastia, il 7 aprile 1945, avviene uno scontro a fuoco tra gli uomini della IV Apuania e una truppa tedesca. Nel gruppo di partigiani c’è anche Leonardo Umile, che eroicamente si attarda alla mitragliatrice per dare il tempo al suo gruppo di mettersi in salvo. Dopo essere stato catturato, viene torturato e ucciso a Villanova di Bigliolo.

La Battaglia di Licciana del 23 aprile 1945
La Liberazione della Lunigiana si attua attraverso una serie di manovre congiunte tra le forze alleate e le formazioni partigiane. Tra il 21 e il 24 aprile, la IV Brigata Apuana e la Brigata “Leone Borrini” agiscono sotto il comando del maggiore «Mario», Sante Blandini, Capo di Stato Maggiore della Divisione “Monte Orsaro”. In quei giorni i partigiani costringono alla resa numerose truppe di tedeschi e fascisti.
Alla mattina del 23 aprile 1945, oltre 700 unità, tra truppe tedesche e militi fascisti, in prevalenza alpini della Monterosa, arrivano a Licciana e vi sostano, nell’attesa di avere il via libera per continuare la ritirata attraverso il Passo del Lagastrello o lungo la strada Monti-Amola-Villafranca. Gli eventi che seguono verranno ricordati come la grande “Battaglia di Licciana”. I partigiani della IV Apuana da nord e da est e quelli della “Borrini” da ovest effettuano una manovra di accerchiamento e in contemporanea il Comando di divisione avvia una trattativa con i nazi-fascisti per la resa incondizionata da comunicare con l’alzata di un segnale bianco sul tetto della scuola, dove si sono rifugiati. A Monti ci sono degli scontri: i partigiani dei distaccamenti “Olivieri” e “Torri” della Brigata “Borrini” attaccano una colonna di nazifascisti che cerca di sfuggire all’assedio partigiano. Una cinquantina di uomini della «Olivieri», guidati da Gerolamo Balestracci «Marx» e Costantino Cirelli «Raffica», entrano a Licciana e riescono a disarmare alcuni nazifascisti. Allo scadere dell’ultimatum, alle ore 15, iniziano i combattimenti e a fine giornata i nazifascisti, seppure più numerosi e meglio armati, scelgono la resa. Durante i combattimenti perdono la vita i giovani partigiani Enos Grossi e Pietro Isacco (morti per le ferite a qualche giorno di distanza) e Iosef Bauer, un disertore austriaco arruolatosi nella Resistenza, caduto nei pressi del Castello di Licciana.

Altre vittime civili
Durante i lunghi mesi dell’occupazione, si registrano diverse azioni di rappresaglia contro la popolazione civile. Gli episodi più tragici hanno luogo tra il 2 e il 6 luglio del 1944, quando, nel corso dell’operazione Wallenstein I, vengono uccisi otto civili, sospettati di avere rapporti con la Resistenza, in varie località del territorio liccianese. Tra questi il dottor Giuseppe Giannotti di Panicale.
Il 7 aprile 1945 una truppa tedesca in transito verso la valle del Taverone, si trova a passare dall’abitato di Licciana Nardi, che viene immediatamente occupato. Vengono uccisi in questo frangente tre civili, che osservano il passaggio delle truppe dalla finestra delle loro abitazioni, e tra questi una bambina di 12 anni. Neppure la popolazione di Terrarossa viene risparmiata dalla guerra: nel bombardamento alleato del 1° dicembre 1943, in cui viene coinvolta la fabbrica della Filanda, tra le 33 vittime, cinque sono originarie di Terrarossa. Nelle ore successive alla Liberazione ci sono diversi morti a causa dello scoppio di alcuni ordigni bellici lasciati dai tedeschi: sette vittime (tra cui due militari alleati) durante un’ispezione alla stazione ferroviara e quattro civili al Castello di Terrarossa. Nel dopoguerra anche alcuni bambini sono vittime dei cosiddetti “giochi di guerra”, tra cui un bambino di soli 3 anni, morto durante lo svuotamento di un proiettile.

Nell’area compresa tra i comuni di Licciana Nardi, Bagnone e Villafranca è attiva la Brigata Garibaldi “37B”, nata da un nucleo originario composto da alcuni antifascisti e perseguitati politici durante il ventennio, tra i quali Edoardo Bassignani «Ebio» di Merizzo e alcuni sarzanesi, come l’ex ufficiale Piero Galantini «Federico», poi comandante della Brigata Garibaldi “Ugo Muccini” ed Ernesto Parducci «Giovanni», che diventa il comandante della prima banda partigiana sul Monte Barca, annientata nel marzo 1944 da una rappresaglia della X Mas. Ripresasi da questo duro colpo, la “37B” inizia a ingrossare le fila dal maggio 1944, con l’arrivo di molti giovani lunigianesi, renitenti e disertori che scelgono la via dei monti anche per non essere reclutati nella RSI.

Ai primi di luglio 1944, la “37B” viene fortemente ridimensionata dal grande rastrellamento, denominato operazione Wallenstein I, I partigiani sono costretti allo sganciamento e hanno diverse perdite, soprattutto nel bagnonese. Numerosi anche i civili trucidati o deportati in Germania, molti di questi vengono catturati a Taponecco.
Nell’autunno successivo la “37B” prenderà il nome di Brigata Garibaldi “Leone Borrini” e si organizzerà in vari distaccamenti, alcuni dei quali dislocati nei borghi montani di Licciana: Tavernelle, Apella, Prada del Ferro, Ripola, Monterossino. Località che vengono scelte perché ritenute più sicure, sia per la lontananza dai presidi nazi-fascisti del capoluogo, di Terrarossa e dei comuni vicini (Bagnone e Villafranca), sia per la generosa solidarietà e l’atteggiamento di protezione che la popolazione montana dimostra nei confronti del movimento. I partigiani della Borrini tra la fine del 1944 e il gennaio 1945 sono particolarmente attivi nell’ostacolare l’operato dei reparti nazi-fascisti e a rendere difficile la viabilità che porta al passo della Cisa. Tra il 20 e il 28 gennaio 1945 il territorio della IV Zona Operativa viene investito da un enorme rastrellamento, in cui vengono dispiegati circa 25.000 nazifascisti contro i 2500 partigiani presenti nell’area. La conseguenza inevitabile è lo sganciamento dei gruppi partigiani per cercare di raggiungere zone più sicure. Tale rastrellamento coincide – e anzi ne è una conseguenza – con la visita in Lunigiana di Benito Mussolini, che viene per passare in rassegna le truppe della Repubblica Sociale Italiana in partenza per andare a combattere in Garfagnana. Il 26 gennaio i bersaglieri della Divisione Italia catturano, in località Villa di Panicale, il partigiano Vegliante Torri «Ivan», comandante del Distaccamento “Giannotti”, con sede ad Apella. Dopo aver cercato invano di farlo parlare, viene ucciso con un colpo di baionetta alla gola.

In questo territorio è presente anche la IV Brigata Apuana “Gino Menconi” bis, che ha collocato le sue basi principali nel comanese, ma ha un importante presidio nel paese di Bastia, scelto per la sua posizione strategica sulla Val di Taverone: non a caso il paese subisce diversi cannoneggiamenti dalla pianura. Una lapide, apposta nel borgo, ricorda la morte di tre partigiani, tutti appartenenti alla IV Apuana: Annibale Rossetti «Fausto», Giulio Mazzini, Gino Bellazzini. Sempre a Bastia, il 7 aprile 1945, avviene uno scontro a fuoco tra gli uomini della IV Apuania e una truppa tedesca. Nel gruppo di partigiani c’è anche Leonardo Umile, che eroicamente si attarda alla mitragliatrice per dare il tempo al suo gruppo di mettersi in salvo. Dopo essere stato catturato, viene torturato e ucciso a Villanova di Bigliolo.

La Battaglia di Licciana del 23 aprile 1945
La Liberazione della Lunigiana si attua attraverso una serie di manovre congiunte tra le forze alleate e le formazioni partigiane. Tra il 21 e il 24 aprile, la IV Brigata Apuana e la Brigata “Leone Borrini” agiscono sotto il comando del maggiore «Mario», Sante Blandini, Capo di Stato Maggiore della Divisione “Monte Orsaro”. In quei giorni i partigiani costringono alla resa numerose truppe di tedeschi e fascisti.
Alla mattina del 23 aprile 1945, oltre 700 unità, tra truppe tedesche e militi fascisti, in prevalenza alpini della Monterosa, arrivano a Licciana e vi sostano, nell’attesa di avere il via libera per continuare la ritirata attraverso il Passo del Lagastrello o lungo la strada Monti-Amola-Villafranca. Gli eventi che seguono verranno ricordati come la grande “Battaglia di Licciana”. I partigiani della IV Apuana da nord e da est e quelli della “Borrini” da ovest effettuano una manovra di accerchiamento e in contemporanea il Comando di divisione avvia una trattativa con i nazi-fascisti per la resa incondizionata da comunicare con l’alzata di un segnale bianco sul tetto della scuola, dove si sono rifugiati. A Monti ci sono degli scontri: i partigiani dei distaccamenti “Olivieri” e “Torri” della Brigata “Borrini” attaccano una colonna di nazifascisti che cerca di sfuggire all’assedio partigiano. Una cinquantina di uomini della «Olivieri», guidati da Gerolamo Balestracci «Marx» e Costantino Cirelli «Raffica», entrano a Licciana e riescono a disarmare alcuni nazifascisti. Allo scadere dell’ultimatum, alle ore 15, iniziano i combattimenti e a fine giornata i nazifascisti, seppure più numerosi e meglio armati, scelgono la resa. Durante i combattimenti perdono la vita i giovani partigiani Enos Grossi e Pietro Isacco (morti per le ferite a qualche giorno di distanza) e Iosef Bauer, un disertore austriaco arruolatosi nella Resistenza, caduto nei pressi del Castello di Licciana.

Altre vittime civili
Durante i lunghi mesi dell’occupazione, si registrano diverse azioni di rappresaglia contro la popolazione civile. Gli episodi più tragici hanno luogo tra il 2 e il 6 luglio del 1944, quando, nel corso dell’operazione Wallenstein I, vengono uccisi otto civili, sospettati di avere rapporti con la Resistenza, in varie località del territorio liccianese. Tra questi il dottor Giuseppe Giannotti di Panicale.
Il 7 aprile 1945 una truppa tedesca in transito verso la valle del Taverone, si trova a passare dall’abitato di Licciana Nardi, che viene immediatamente occupato. Vengono uccisi in questo frangente tre civili, che osservano il passaggio delle truppe dalla finestra delle loro abitazioni, e tra questi una bambina di 12 anni. Neppure la popolazione di Terrarossa viene risparmiata dalla guerra: nel bombardamento alleato del 1° dicembre 1943, in cui viene coinvolta la fabbrica della Filanda, tra le 33 vittime, cinque sono originarie di Terrarossa. Nelle ore successive alla Liberazione ci sono diversi morti a causa dello scoppio di alcuni ordigni bellici lasciati dai tedeschi: sette vittime (tra cui due militari alleati) durante un’ispezione alla stazione ferroviara e quattro civili al Castello di Terrarossa. Nel dopoguerra anche alcuni bambini sono vittime dei cosiddetti “giochi di guerra”, tra cui un bambino di soli 3 anni, morto durante lo svuotamento di un proiettile.

La Brigata Garibaldi “Leone Borrini”, al centro, con le mani sulla cintura, il comandante di brigata «Tino», alla sua sinistra «Marx» e alla sua sinistra «Raffica», rispettivamente comandante e commissario politico del distaccamento “Olivieri”, con sede a Monterossino.
La Brigata Garibaldi “Leone Borrini”, al centro, con le mani sulla cintura, il comandante di brigata «Tino», alla sua sinistra «Marx» e alla sua sinistra «Raffica», rispettivamente comandante e commissario politico del distaccamento “Olivieri”, con sede a Monterossino.